Piano energia nucleare Italia: cosa comporta?

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piano energia nucleare italia

Pubblicato da Carmela Maggio e revisionato da Marina Lanzone il 09/02/2023  ||  ⏳ tempo di lettura 2 min.

La produzione di energia nucleare sarebbe fattibile in Italia? Cosa comporterebbe? Esiste già un piano energetico a riguardo? Il fatto che l'Italia potrebbe essere favorevole all'energia nucleare non significa che sia pronta. A confermarlo sono i fatti: ciò che turberebbe gli italiani sono le conseguenze radioattive, a cui si aggiungono dei problemi prettamente "politici", come la sicurezza e la gestione delle scorie. Vediamo il piano esistente e le sue difficoltà, ripercorrendo la storia del nucleare nel tempo.

Energia nucleare Italia: il punto della questione

In Italia il piano per l'energia nucleare c'è da tanto tempo: accantonato nel 1987 con un referendum, è stato ripreso nel 2009, per poi ri-bloccarsi nel 2011 a causa di un altro referendum. Dopo gli incidenti di Chernobyl e i disastri di Fukushima, la paura si è diffusa.

Non dimentichiamo che ci sono altri ostacoli da considerare:

  • quante centrali servono;
  • dove costruire le centrali;
  • dove stoccare le scorie.

Non ci sono ancora tutte le risposte alle domande: questo potrebbe voler dire che l'Italia non sia totalmente pronta, seppur più a favore dell'energia nucleare.

Cosa pensano gli italiani del nucleare? 

Dopo la crisi del gas russo, l'Italia sembra aver modificato la sua idea in merito all'energia nucleare: il numero di persone a favore sembra essere più alto. A ottobre 2022, IZI spa, società impegnata nelle rilevazioni demoscopiche, ha intervistato 1037 persone maggiorenni. Ecco il risultato del sondaggio: 

  • il 49,7% è stato per il "" al nucleare; 
  • il 32,2% per il "no";
  • gli indecisi erano il 18,1%.

Quante centrali servono in Italia per affrancarsi dal gas della Russia?

Su circa 75 miliardi di metri cubi di gas importati in Italia annualmente, circa la metà si usa per produrre elettricità. In base a questo, potremmo ipotizzare quanti reattori nucleari servirebbero per la produzione della stessa quantità di energia (140 TWh) ricavata dal gas importato in Italia (soprattutto dalla Russia). 

Secondo Geopop servirebbero più o meno 20-25 reattori nucleari da 850-900 MW (media potenza). Se lavorassero per 8000 ore all’anno per produrre in media 140-150 TWh di energia elettrica, riuscirebbero a sostituire il gas naturale utilizzato per la produzione di energia elettrica

Per giustificare questo risultato, il calcolo effettuato da Geopop ha preso in considerazione che da circa 35 miliardi di metri cubi di gas si possono ricavare 140 TWh di energia elettrica. Di conseguenza, visto che 5 reattori contribuirebbero al risparmio di 8 miliardi di metri cubi di gas, 20 reattori nucleari permetterebbero di slegare completamente la produzione di elettricità dalle importazioni di gas. 

E se volessimo sostituire del tutto il gas naturale (75 miliardi di metri cubi di gas annuali)? Geopop ha la risposta anche per questo. Avendo anche il supporto delle energie rinnovabili, occorrerebbero in media:

  • 40-50 reattori di media potenza (850-900 MW);
  • 30 reattori nucleari più potenti da 1400-1750 MW. 

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Dove è giusto costruire le centrali nucleari? 

Già da tempo sono stati stilati i criteri di localizzazione per regolare la costruzione degli impianti nucleari. Con il decreto legislativo 15 febbraio 2010 n. 31, all'articolo 8, vengono stabilite le caratteristiche delle aree potenzialmente idonee per la realizzazione di una centrale. Tra i criteri tecnici da valutare troviamo: 

  • popolazione e fattori socio-economici;
  • idrologia e risorse idriche;
  • fattori meteorologici;
  • biodiversità;
  • geofisica e geologia;
  • valore paesaggistico;
  • valore architettonico-storico;
  • accessibilità dell'area;
  • sismo-tettonica;
  • distanza da aree abitate e da infrastrutture di trasporto;
  • strategicità dell'area per il sistema energetico e caratteristiche della rete elettrica;
  • rischi potenziali indotti da attività umane nel territorio circostante.

Riassumendo, un'area per essere considerata idonea per la costruzione di un impianto deve essere: 

  • lontana da zone sismiche, ad alto rischio di eruzioni vulcaniche e dissesto idrogeologico e da insediamenti civili
  • ma vicina a corsi d'acqua o al mare per garantire un più rapido raffreddamento dei reattori. 

Come funziona il procedimento di stoccaggio delle scorie?

Anche per l'individuazione dell'area idonea alla realizzazione dei depositi di stoccaggio esistono dei criteri simili a quelli per la costruzione di nuovi impianti. L'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha condiviso la "Guida Tecnica numero 29" (4 giugno 2014), la quale contiene 28 criteri di localizzazione che individuano le zone potenzialmente idonee a ospitare il Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi. I 28 criteri sono divisi in due fasi, di cui 15 sono di esclusione e 13 di approfondimento.

Andando nello specifico, i criteri di esclusione consentono appunto di escludere aree potenzialmente rischiose per l’uomo e l’ambiente come per esempio le zone ad elevato rischio vulcanico, oppure sismico o le zone interessate da degradazione del suolo con più frane e alluvioni. Vanno anche escluse le aree sopra i 700 m e sotto i 20 metri rispetto al livello del mare, quelle con una pendenza maggiore del 10% e quelle che si trovano a meno di 5 km dalla costa. La localizzazione del deposito non deve interferire con le risorse sotterranee come gas e petrolio e con le aree protette, deve essere distante da città, zone industriali ad alto rischio e militari.

Invece, i criteri di approfondimento servono per escludere o confermare l'idoneità di aree selezionate nella fase precedente. Si valutano ad esempio fattori inerenti alle manifestazioni vulcaniche secondarie (come le fumarole), i fenomeni di movimenti del suolo per subsidenza e sollevamento, la presenza di specie animali a rischio, delle produzioni agricole di valore o dei luoghi di interesse archeologico. Si ritiene invece positiva la presenza di infrastrutture di trasporto apposite per agevolare il raggiungimento del deposito.

Alla fine, l’insieme delle aree non escluse costituiscono la proposta di Carta Nazionale delle aree potenzialmente idonee che possono ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi.

Un deposito definitivo per stoccare le scorie ancora non esiste. Nel frattempo, i rifiuti radioattivi vengono portati in depositi temporanei dove è garantita la sicurezza e la gestione, da oltre dieci anni. Questi luoghi ospitano le scorie nell'attesa di essere trasportati in un vero e proprio deposito geologico, ossia il Deposito Nazionale, il quale conterrà rifiuti di media e alta radioattività (la perdono in migliaia di anni). In questo Deposito Nazione non saranno, invece, incluse le scorie radioattive a vita breve, poiché possono essere smaltite come rifiuti non radioattivi (convenzionali).

Guida Tecnica n. 29 dell'ISPRA Vuoi approfondire l'argomento? Ti abbiamo messo a disposizione l'intera Guida scritta dall'ISPRA per la localizzazione di un impianto di smaltimento. Clicca sul link.

Secondo quanto riportato sul sito del Messaggero in un articolo del 2022, 7 regioni sarebbero state recentemente coinvolte in questo lavoro di mappatura: Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia e Basilicata, Sicilia, Sardegna. Andando ancora più nel dettaglio, le province di Alessandria, Torino e Viterbo sarebbero addirittura indicate con la lettera "A", cioè come le più idonee in assoluto, nella Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), preparata dalla società Sogin nello stesso anno. La Sogin è l'azienda pubblica italiana deputata al decommissioning (in italiano dismissione) degli impianti nucleari e della gestione dei rifiuti radioattivi.

L'Italia ha anche un Piano per le emergenze

Il piano nazionale per la gestione di emergenze nucleari e radiologiche previsto dall'articolo 182, c, 2, del D.Lgs. 101/2020 è di competenza del Ministero dell'Interno. Il documento, tramite delle procedure, individua le misure che servono per contrastare le conseguenze dovute a incidenti di natura radioattiva o nucleare in Europa e negli Stati extraeuropei.

La bozza del testo firmata dal capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, fornirebbe indicazioni su tempi e modalità di intervento per profilassi, chiarito anche dall’Istituto Superiore di Sanità. Il programma prevede tre fasi, tra cui:

  • ripararsi all’interno delle abitazioni con porte e finestre chiuse;
  • blocco cautelativo del consumo di alimenti prodotti a livello locale nel momento in cui l’incidente avviene entro i 200 km;
  • iodio-profilassi, misura di intervento per proteggere la tiroide che riduce l’assorbimento delle sostanze radioattive.

Più lontano è l’incidente, minori sono le misure attuate e soprattutto meno rigide: è l’esempio di uno Stato relativamente lontano come l’Ucraina.

Piano per l'energia nucleare in Italia: la storia in ordine cronologico

C'è una storia dietro il piano per l'energia nucleare in Italia che ha frenato in tutti i modi la ripartenza delle centrali sul territorio italiano. Ma partiamo dal principio.

Tutto è iniziato negli anni cinquanta, quando sono state costruire le prime centrali nucleari per sostenere lo sviluppo industriale del Paese. Nel 1959, l'Italia ha innalzato il primo reattore a Varese, il secondo a Latina e il terzo a Caserta.

Negli anni sessanta con il boom economico, il nucleare si è sviluppato sempre di più. Il 1966 è stato l'anno clou dell'Italia per la produzione dell'energia nucleare, diventando il terzo produttore al mondo.

Nel 1977, però, l'aria sembrava cambiata: ha preso vita il Movimento antinucleare. Più o meno nello stesso periodo, Legambiente ha promosso la manifestazione chiamata "Stop al nucleare" a Roma, con la partecipazione di più di 200.000 persone.

Nel 1981 l'Italia ha inaugurato una quarta centrale a Caorso. Ma con il referendum del 1987, subito dopo l'esplosione di Chernobyl (aprile 1986), l'Italia ha fatto dei passi indietro sull'energia nucleare. Nel 2009 sono stati ugualmente siglati accordi per 8 reattori nucleari in Italia.

Lo stop definitivo è arrivato con il referendum del 2011 dopo l'incidente del Giappone (Fukushima nello stesso anno). 

Sembrava finita qui: invece proprio pochi giorni fa si è riacceso un nuovo dibattito politico per trovare energia alternativa. Sarà questa la volta buona?

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