Crisi Energetica: a cosa è dovuta, come far fronte, che conseguenze ha?

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Crisi Energetica.
Cause e conseguenze della crisi energetica globale.

La crisi energetica in Italia ed Europa mette davanti a scelte che potrebbero rivelarsi difficili. In attesa di sapere cosa succederà nel prossimo futuro, cerchiamo allora di capire a cosa è dovuto questo grande periodo di difficoltà, quali saranno le conseguenze da pagare e se esiste un modo per far fronte agli aumenti previsti nei prossimi mesi.

Per definizione, una crisi energetica si verifica quando la domanda (sia per fonti rinnovabili che non rinnovabili) aumenta, a fronte di una offerta che diminuisce (per cause naturali o artificiali). Da ciò si ottiene un aumento dei prezzi, che si ripercuote sulla popolazione.

Questo è quello che sta succedendo già da tempo, con lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina nel febbraio del 2022. Ed è quello che continuerà a succedere anche nei prossimi mesi, con effetti nefasti che iniziano a palesarsi sotto gli occhi di tutti. Cerchiamo allora di capire le cause di questa crisi nella tabella che segue:

Crisi Energetica 2022/2023: le cause
Causa Descrizione
Uso politico del Gas Lo scoppio della guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni imposte dagli Stati Europei alla Russia hanno spinto il presidente Vladimir Putin ad attuare un uso politico del gas, reso artificialmente scarso in modo da mettere in difficoltà le maggiori economie europee.
Congiunture interne ai paesi europei La crisi costringe ogni paese a fare i conti con le proprie fragilità strutturali. Anche giganti come Germania e Francia sono in difficoltà, mentre altri paesi sfruttano le proprie peculiarità per cercare di riportare meno danni possibili.
Cambiamenti climatici L'impatto dei cambiamenti climatici inizia ad avere effetti evidenti sui sistemi economici, frenando in maniera importante l'adozione delle energie rinnovabili (soprattutto eolico e idroelettrico).
Transizione energetica errata Aver voluto concentrare numerose risorse europee sul raggiungimento di ambiziosi obiettivi legati alla transizione energetica avrebbe reso più fragili le economie del Vecchio continente. Oltre che meno pronte ad affrontare la crisi.
Normative errate Alcune dinamiche tutte italiane legate alla formazione del prezzo dell'energia potrebbero aver innescato fenomeni che oggi si manifestano tramite prezzi più alti per famiglie e imprese.
Nuovi equilibri geopolitici Ogni crisi porta a cambiamenti strutturali. E i paesi europei, in bilico tra Stati Uniti e potenze dell'est (Russia, Cina, India) potrebbero risentire di questi nuovi equilibri a livello mondiale.

Dopo questo breve riepilogo, approfondiamo tutti i temi di interesse, cercando di evidenziare conseguenze e possibili rimedi.

Dalla Commissione europea arriva il disegno per tamponare la crisi energetica nei mesi invernali, tra le proposte c'è anche la riduzione della potenza dei contatori.

Crisi energetica 2022/2023 cause: l’uso politico del gas russo

Perché si parla di crisi dell’energia elettrica se a mancare è il gas? Un osservatore poco attento potrebbe osservare: se la Russia blocca le forniture di gas avrò problemi magari a scaldare i cibi, fare una doccia calda o riscaldarmi l’inverno. Perché dovrebbe costare di più anche la luce? Perché il gas, specialmente in paesi come l’Italia, viene utilizzato anche per creare energia. Nel concreto, viene utilizzato gas (o petrolio) per scaldare grandi quantità d’acqua che, una volta a pressione, fanno girare delle enormi turbine che generano forza elettromotrice. Questa poi viene convertita in corrente elettrica.

Durante una visita del 16 giugno scorso in Ucraina, il Presidente del Consiglio Mario Draghi parlava così della difficile situazione attraversata dall’Europa:

Viene detto che i motivi del taglio delle forniture di gas siano tecnici e legati alle sanzioni. Per noi, come per la Germania, sono bugie. Da Mosca c'è un uso politico del gas e del grano. Noi siamo tranquilli, nell'immediato e per l'inverno, ma a questi prezzi gli stoccaggi diventano più difficili. Le forniture sono diminuite, l'Europa è in difficoltà e la Russia incassa come prima. È una strategia che va combattuta. In questo contesto acquista più forza la richiesta dell'Italia a un tetto al prezzo del gas.

Mario DraghiRai News.it, articolo “Draghi a Kiev: "C'è un uso politico del gas e del grano da parte della Russia"”

L’idea dell’”uso politico” del gas da parte di Putin rientra tra le cause di maggior importanza di questa crisi. Accerchiata da sanzioni sempre più pesanti e pressanti, la Russia ha scelto di rispondere imponendo una scarsità artificiale al suo bene maggiormente esportato, ovvero il gas naturale. Tutto questo, però, senza andare a intaccare le relazioni commerciali con alcuni dei suoi partner più stabili. E tra questi c’è proprio l’Italia. Questo video diffuso da CREA (Centre for Research on Energy and Clean Air) si concentra sulle importazioni di combustibili fossili dalla Russia nei primi 100 giorni della guerra:

Tra le tante riflessioni effettuabili, si può vedere facilmente che:

  • All’inizio del conflitto, i tre maggiori importatori erano Cina, Germania e Italia. Cento giorni dopo, la situazione era esattamente la stessa;
  • Le importazioni hanno fruttato alla Russia 93 miliardi di euro (57 miliardi provengono dall’Unione Europea);
  • La Cina ha definitivamente superato la Germania come principale importatore, segno di uno spostamento degli equilibri verso oriente;
  • L’aumento della domanda di combustibili (dovuta anche alla ripresa dalla pandemia da COVID-19) ha fatto schizzare i prezzi, con un +60% sui mercati internazionali al netto di sconti.

A dispetto delle sanzioni economiche è Mosca che sembra avere il coltello dalla parte del manico. Gli Stati europei, allora, come hanno reagito a questa situazione?

Le diverse reazioni dei paesi europei alla crisi energetica attuale

Nei primissimi giorni del conflitto, da più parti erano giunti plausi per la grande e compatta reazione dell’Unione Europea, unita in tutti i suoi paesi nell’infliggere sanzioni di tipo economico alla Russia. L’unità, come era facile prevedere, si è andata a sgretolare su più fronti con il passare del tempo. Anche perché ogni Stato deve far fronte a problematiche prettamente domestiche, che denotano le varie fragilità interne. Problemi che riguardano anche paesi che, negli scorsi anni, sembravano tutto fuorché inclini ad attraversare momenti di crisi.

I due casi più eclatanti sono Germania e Francia, che per motivi diversi si trovano in difficoltà sul fronte energetico:

  • La Germania, paese europeo che importa più combustibili da Mosca, ha chiuso tre dei sei reattori nucleari presenti nel paese per problemi tecnici. Tutto ciò porterà a una ulteriore dipendenza dal gas e dal carbone, almeno nel medio periodo. Dipendenza che, però, dovrà fare a meno del gas russo, se è vero che Gazprom chiuderà i condotti del gasdotto Nordstream il prossimo 31 agosto;
  • La Francia punta sul nucleare, ma la sua flotta di centrali è quantomeno da aggiornare, visto che molti reattori al momento sono chiusi. Ciò porterà a un picco negativo della produzione durante i cruciali mesi freddi. Come conseguenza, il costo per megawattora (mWh) è schizzato a 900 euro sul mercato dei futures, dato dieci volte più alto rispetto a un anno fa.

I due paesi in questione hanno reagito in un modo che, solo qualche mese fa, poteva essere definito anacronistico. Stiamo parlando delle nazionalizzazioni di Edf (in Francia) e Uniper (in Germania), compagnie direttamente colpite dalla crisi. Ne abbiamo parlato diffusamente in “Emergenza Gas: la Nazionalizzazione di Eni ed Enel è la Soluzione?”

Altri paesi, invece, sfruttano le loro peculiarità per ottenere possibili vantaggi. È il caso della penisola iberica, che nei mesi scorsi ha strappato il sì dell’Unione Europea per la creazione di un tetto massimo del gas in Spagna e Portogallo.

Combattere il blackout energetico con le rinnovabili, clima permettendo

Il ragionamento è semplice: gas e combustibili fossili sono troppo cari per produrre energia elettrica? Puntiamo tutto sulle rinnovabili!

Di base non ci sarebbe nulla di male in questo modo di pensare, se non fosse che il momento storico che stiamo vivendo, anche dal punto di vista ambientale, non è dei migliori. D’altronde, la crisi energetica in corso è stata ribattezzata da molti come “tempesta perfetta”. Un modo elegante per dire che, da qualsiasi parte la si guardi, la faccenda è davvero complicata.

L’impiego di energie rinnovabili, infatti, è legato a doppio filo alle evoluzioni del cambiamento climatico. E l’estate 2022 è stata una delle stagioni più calde e secche di sempre. Basta fare qualche considerazione spicciola per capire la gravità della situazione:

  • Se i fiumi sono in secca, non è possibile utilizzare a pieno regime le centrali idroelettriche. In molti casi, si è dovuto effettuare una scelta: riservare l’acqua disponibile alla produzione di energia, o ai campi degli agricoltori che temono per il loro raccolto?
  • Se il vento latita, come è stato nelle tante ondate di calore susseguitesi tra luglio e agosto, le pale eoliche non possono funzionare. E quindi non possono fornire energia.

Anche qui, sembra semplice capire cosa fare. Combattiamo il cambiamento climatico con più ambientalismo, favorendo una transizione energetica rapida. Le risposte però, durante una tempesta perfetta, non sono mai del tutto giuste (o del tutto sbagliate).

Troppo ambientalismo fa male all’ambiente?

Il fatto che la Russia, nonostante tutto, sia considerato volente o nolente un fornitore affidabile (anche dagli Stati europei), indica tra le altre cose una profonda fragilità nella gestione dell’energia da parte di diversi paesi.

Uno dei problemi che ha portato a questa crisi, secondo alcuni osservatori, rientra nel cosiddetto “ambientalismo selvaggio”. Tullio Fanelli (ex sottosegretario del ministero dall’ambiente) e Alessandro Ortis (ex presidente AEEG, ora ARERA), si esprimono così dalle pagine di Rivista Energia.it:

Quello cui da anni si assiste, a livello internazionale, europeo e nazionale, è il gareggiare con obiettivi ambientali sempre più ambiziosi (e in alcuni casi del tutto irrealistici) ma privi di misure adeguate per il loro perseguimento e delle necessarie analisi e valutazioni di impatto: si pensi ad esempio alle conclusioni della COP 26 che insistono sul contenimento dell’incremento di temperatura sotto 1,5 °C quando poche settimane prima nell’Emissions Gap Report 2021 dell’UNEP era chiaramente riportato che per raggiungere tale obiettivo sarebbe necessario dimezzare le emissioni mondiali entro otto anni

Tullio Fanelli, Alessandro OrtisRivistaenergia.it, articolo “Crisi energetica: le cause, ambientalismo irrazionale e mercato selvaggio”

Il discorso è particolarmente complesso, ma la sostanza dei fatti è che per alcuni osservatori la spinta verso obiettivi ambientali sempre più ambiziosi, introdotti magari per attrarre consensi politici, ha portato a conseguenze piuttosto gravi. Ecco alcuni esempi:

  • Concentrarsi in modo così rilevante sulle energie rinnovabili (che al momento coprono solo il 6% dei consumi nel mondo) distrae fondi e interesse dalle altre fonti. Gli operatori energetici, pur se coscienti che gli obiettivi prospettati dai governi sono spesso irrealizzabili, sono spinti così a ridurre gli investimenti sulle fonti fossili, introducendo un nuovo elemento di instabilità;
  • Se le fonti fossili sono più rischiose, gli operatori devono tutelarsi. Per farlo, stipulano contratti a lunga scadenza con gli esportatori (in primis la Russia), in modo da condividere il rischio di impresa. Questa strategia va bene in periodi di relativa calma, quando domanda e offerta sono sullo stesso livello. Quando le cose vanno male, a rimetterci sono i paesi importatori, visto che il potere contrattuale è tutto dalla parte di chi decide quante risorse distribuire (ovvero i paesi esportatori, e quindi la Russia);
  • Aver abbandonato i combustibili fossili tradizionali, paradossalmente, ha costretto numerosi paesi (Germania e Italia in primis) a tornare al carbone, fonte certamente inquinante e nociva per l’ambiente.

Se queste sono tematiche relative soprattutto alla dimensione sovranazionale, è anche vero che i singoli stati possono avere colpe nell’aver “favorito” la crisi energetica. L’Italia, ad esempio, ha sbagliato qualcosa?

Il possibile lockdown energetico come risultato di normative sbagliate?

È di pochi giorni fa la notizia che ARERA aggiornerà i prezzi delle tariffe gas del mercato tutelato su base mensile, e non più trimestrale.  Si tratta di un cambiamento che segue quello del 2016, che introdusse l’aggiornamento trimestrale delle tariffe in sostituzione della stima del costo medio annuo sostenuto da Acquirente Unico. Cambiamento che, secondo alcuni osservatori, avrebbe comportato maggiore instabilità per gli utenti della maggior tutela, a favore delle offerte del mercato libero a prezzo fisso.

Per tutti i dettagli sulla nuova metodologia scelta per fissare i prezzi delle tariffe in maggior tutela, leggi pure: “Rivoluzione nella Maggior Tutela Gas: da Ottobre il Prezzo cambia ogni Mese!”

Secondo il pensiero di Fanelli e Ortis, in questo nuovo contesto sono stati pochi i controlli per verificare che i vari fornitori avessero coperture adeguate a rispettare tali contratti, che garantivano stabilità a fronte di un prezzo fisso più alto. Ed è proprio il tema della trasparenza contrattuale uno dei motivi che ha spinto a diversi rinvii della chiusura del regime a maggior tutela, ora prevista a luglio 2024. Un’esigenza sottolineata anche nella relazione ARERA 2022, ed evidenziata dal presidente Stefano Besseghini nel suo discorso al Parlamento:

Il passaggio dai servizi di tutela al libero mercato, spesso non si traduce in un vantaggio economico per il cliente finale. La causa di queste scelte è da ricercare, probabilmente, nella pressione di un marketing aggressivo, che spesso fa leva su informazioni non corrette, e in un ruolo ancora prevalente dei principali operatori storici. Una situazione cui dedicare sempre più attenzione, con azioni di stretto enforcement verso gli operatori e iniziative informative per il consumatore.

Stefano BesseghiniRelazione Annuale sullo Stato dei servizi e sull’Attività svolta

Tutto questo a cosa potrebbe portare? Ancora è presto dirlo, ma da più parti si prospetta l'introduzione di una sorta di lockdown energetico (a livello nazionale o addirittura europeo). Diversi paesi del Vecchio continente starebbero valutando di inserire provvedimenti come:

  • Spegnimento delle vetrine dei negozi;
  • Riduzione dell’illuminazione urbana;
  • Diminuzione delle temperature dei riscaldamenti nelle case, probabilmente di 2 gradi centigradi;
  • Spostamento in avanti dell’accensione dei riscaldamenti condominiali;
  • Possibili razionamenti dell’uso dell’acqua calda.

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Tra Atlantismo e Oriente che avanza, il fragile equilibrio geopolitico dell’Europa

La crisi energetica 2022 non è legata solo alle bollette più salate o, sfortunatamente, alle aziende che chiudono. In ballo c’è qualcosa di ancora più grande, almeno secondo i diretti protagonisti della vicenda. Durante il suo discorso tenuto al Forum sugli investimenti nell'Estremo Oriente russo, Vladimir Putin ha espresso la sua visione sul futuro del mondo:

Il mondo unipolare è ormai obsoleto. Sarà sostituito da un nuovo ordine globale basato sui principi fondamentali della giustizia e dell'uguaglianza e sul riconoscimento del diritto di ogni Paese o popolo a seguire il suo percorso sovrano di sviluppo. È nella regione Asia-Pacifico che si stanno formando potenti centri politici ed economici, forza trainante di questo processo irreversibile.

Vladimir PutinRainews.it, articolo “Putin: via mondo unipolare, nuovo ordine”

In un mondo che forse si scopre meno globalizzato di quanto creduto, ecco che la geopolitica torna ad avere un suo peso. E l’Europa, come spesso accaduto in passato, si ritrova a fare i conti con spinte provenienti da direzioni opposte. Da una parte ci sono le navi di gas liquefatto provenienti dagli Stati Uniti, che promettono di dare sollievo a economie sempre più fragili. Dall’altra, ecco l’allontanamento dal gas russo e da un paese che negli ultimi anni era stato scelto da diversi Stati come partner privilegiato (nonostante iniziative militari e politiche controverse).

Capire come cambieranno questi equilibri potrebbe portare a comprendere come si risolverà la crisi energetica, in un quadro di instabilità globale difficile da gestire.

Chi paga il prezzo della crisi energetica?

Bastano i numeri: secondo i dati Eurostat, a luglio 2022 il tasso di inflazione dell’Eurozona è stato pari all’8,9%, contro il 2,2% dell’anno precedente. In Italia, il prezzo dei prodotti di prima necessità che compongono il cosiddetto “carrello della spesa” è aumentato del 9,1%, raggiungendo i livelli del 1984.

Se aumentano i prezzi, a pagare sono i cittadini e le imprese, con conseguenze imprevedibili anche sul piano sociale. E le iniziative messe in campo dal Governo non sembrano sempre essere così centrate. La cosiddetta tassa sugli extraprofitti, pensata per colpire le imprese che hanno guadagnato da questa crisi, a giugno ha permesso di incassare solo 1 miliardo dei 4,2 preventivati.

Che risposte sono state date a questa crisi?

Nel corso dei mesi, l’Italia ha cercato di arginare gli effetti della crisi energetica a suon di decreti e provvedimenti. Da una parte si è puntato su misure di carattere strutturale (come il taglio sugli oneri di sistema delle bollette, ormai in vigore da quasi un anno); dall’altro, ci si è spinti a offrire bonus a determinate categorie, con benefici estemporanei. Per avere un quadro completo delle varie iniziative del Governo, dai pure uno sguardo a questa tabella di riepilogo:

Nel futuro, la strada segnata sembra essere quella di cercare di rendersi indipendenti dal gas russo il prima possibile. L’acquisto di nuovi rigassificatori, ad esempio, è una delle iniziative messe in campo dal Governo Draghi, in un quadro segnato comunque dall’instabilità di una crisi politica che vedrà nascere un nuovo esecutivo a fine settembre.

A livello europeo, invece, una strada da percorrere sembra essere quella del tetto massimo del prezzo del gas. In sostanza, si andrebbe a identificare una certa soglia (dai 90 ai 100 euro a mWh) sopra la quale gli operatori non sono autorizzati ad acquistare. La proposta è ancora al vaglio, con alcune divergenze tra paesi che per ora non hanno permesso di dare il via a questa iniziativa.

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Rispetto al 2020 le famiglie italiane dovranno pagare 1.183 euro in più per le bollette di luce e gas. Nel biennio 2021-2022, inoltre, la spesa per l’energia è salita complessivamente del 66,87% (trovi questi e altri dati nel nostro articolo sul Caro Bollette Energia). Appare più che mai fondamentale, pertanto, cercare di scegliere la tariffa giusta per le proprie esigenze. Di seguito trovi allora le tre offerte top del momento:

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*La spesa mensile è stata calcolata con una stima del prezzo medio del PUN (luce) e del PSV (gas) del prossimo anno realizzata dall'Autorità e con un consumo di 1800 kWh/anno per la luce e 800 Smc/anno per il gas ad uso riscaldamento di una famiglia di 3 persone.

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Crisi energetica: siamo vicini alla sua fine? A partire dal 2023, i prezzi di gas e luce hanno iniziato a calare visibilmente, avendo un'influenza anche sulle bollette. Ma questo trend del mercato può trarre in inganno: la crisi del gas non è ancora finita. Ci sono tantissime incognite per il prossimo autunno. Scoprile tutte.

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